Non acquistare mai questa moto, rischi la vita ogni giorno: è la più pericolosa in assoluto

La moto più pericolosa di sempre - mobilitasostenibile.it
Nata per essere il sogno italiano delle due ruote, è finita per diventare un incubo da meccanici e tribunali.
Le moto da corsa hanno un fascino che non si spegne mai. Non è solo velocità pura, ma quell’equilibrio tra potenza e controllo, frutto di anni di pista, che ti fa sentire ‘a casa’ anche quando il contagiri urla pietà. Ogni componente nasce per tenerti incollato all’asfalto – e sì, la sicurezza non è un optional. Per questo, quando un progetto viene da competizione, ci si aspetta roba seria: affidabilità, rigore, fiducia cieca nel comando del polso destro.
Eppure, una casa italiana decise di portare su strada una creatura che, nelle intenzioni, doveva incarnare il meglio di quel mondo. Il risultato? Emozioni fortissime, certo, ma anche brividi che nessun motociclista vorrebbe provare.
Ad oggi è etichettata da molti come la moto ‘peggiore’ di sempre: non tanto per l’idea (affascinante), quanto per i rischi concreti su strada. Manuale d’uso non scritto: pregare prima di avviare, sperare in curva, chiamare il meccanico dopo.
Una moto nata per la perfezione, ma con falle di sicurezza
Le moto da competizione nascono per andare forte in sicurezza: telaio rigidissimo, sospensioni raffinate, freni che mordono, pesi al millimetro. Niente compromessi, niente scuse. Quando l’azienda presentò la moto, l’aspettativa era tutto questo: due tempi con iniezione diretta, peso piuma, telaio in alluminio, ciclistica da mondiale. Sulla carta, un bisturi. In pista, teoricamente sicura anche al limite.
In pratica? Vibrazioni anomale, erogazione on/off, spegnimenti improvvisi e comportamenti imprevedibili proprio dove non puoi permetterteli: in piega, in staccata, in piena accelerazione. La moto che doveva rassicurarti col rigore da pista ti metteva addosso il dubbio a ogni apertura di gas. Le officine – più dei circuiti – iniziarono a vederla spesso: tagliandi? Magari. Più spesso emergenze.

Il fallimento di un sogno italiano
Bimota, non si arrese subito, anzi, provò a salvarla: nuove mappature, poi la resa con i carburatori al posto dell’iniezione. Ma la reputazione era già saltata. Richiami massicci, produzione interrotta in poco tempo, un buco economico pesante. La V-Due – nata nel 1997 per allungare la vita ai 2 tempi – è rimasta un monito: quando la tecnica non garantisce la sicurezza attesa, tutto il resto crolla (e in fretta).
Oggi non è più in produzione, ma sopravvive tra collezionisti e nei racconti degli appassionati (e nei video di Fix and Drive Italia, che ne ricostruiscono bene la parabola). Bellissima da guardare, certo. Da guidare, allora, una scommessa di troppo: più chilometri sul carro attrezzi che sull’asfalto, e il romanticismo finisce alla prima spia che si accende.