“Non le faremo più”: Addio definitivo all’auto dei poveri italiani | La casa madre ha già deciso

Auto economiche, un nuovo addio - mobilitasostenibile.it
L’era delle utilitarie d’ingresso si chiude: il mercato sale di gradino e il conto per le famiglie cambia. L’ultimo addio ne è la prova.
‘Non le faremo più’ è una frase dal retrogusto di addio, ma che molte case automobilistiche sono – e saranno – destinate a pronunciare. Non è un fulmine a ciel sereno, ma la conferma che l’auto d’ingresso, essenziale e accessibile, esce di scena. Si tratta di un’esigenza del mercato, certo, ma in un contesto di prezzi in crescita e bilanci familiari sotto pressione, quella fascia copriva un bisogno concreto, fatto di mobilità dignitosa, manutenzione semplice, spesa prevedibile.
Oggi, volente o nolente, lo scenario si sposta più in alto. Questo grazie (o a causa) di piattaforme globali, dotazioni di sicurezza obbligatorie, elettronica per emissioni e assistenza alla guida. Tutti elementi che rendono l’entry-level un equilibrio che non sta più in piedi. L’ultimo addio, poi, ne è l’ennesima conferma.
Perché l’auto ‘base’ scompare proprio ora
Il caso più recente è la smart fortwo, la due posti simbolo della mobilità ‘di accesso’: produzione chiusa a fine marzo 2024. Le ultime unità sono uscite da Hambach il 28–29 marzo, poi la linea è stata smantellata mentre il marchio si sposta su modelli elettrici più grandi e globali.
La risposta è nei numeri. Stiamo di fatto vivendo requisiti di sicurezza più severi (airbag, controlli attivi, sensori), standard emissioni stringenti e componenti elettronici rincarati comprimono i margini dove erano già sottili. Su vetture piccole i costi non si diluiscono e l’entry-level diventa un prodotto economicamente fragile.
Si aggiunge la strategia industriale, dove le piattaforme globali standardizzate e cicli modello ridotti premiano versioni più equipaggiate, vendibili in più mercati e con ritorni migliori. L’elettrificazione alza l’asticella tecnologica e sposta l’offerta verso segmenti superiori. Risultato prevedibile: l’auto ‘povera’ smette di essere sostenibile per chi la costruisce, ancor prima che per chi la compra.

Cosa cambia per chi compra (e come non farsi male)
Senza le utilitarie d’ingresso, la scelta si sposta su nuovo con formule lunghe (rate di 5–7 anni spesso con maxi-rata finale), km0 ben negoziato e usato recente certificato. Nel primo caso la rata è bassa perché si allunga il piano o si rimanda una fetta del prezzo alla fine, ma il conto complessivo cresce; il km0 fa risparmiare con pronta consegna e garanzia già partita; l’usato certificato riduce la spesa iniziale e la svalutazione, a patto di avere storico manutenzione e controlli in ordine.
Qui decide il costo totale di possesso: non il prezzo in vetrina, ma la somma di carburante/energia sul tragitto reale, premio RC, bollo, manutenzione programmata, pneumatici e perdita di valore a 36 mesi. È quel numero a dire se l’auto è davvero sostenibile.
Infine, per tutelare il budget, conviene tenere l’essenziale e tagliare il superfluo: sicurezza attiva, climatizzazione e connettività minima bastano; il resto si aggiunge solo se serve. In città e con pochi chilometri, car sharing o noleggio flessibile possono costare meno della proprietà; fuori dai centri, una mild hybrid parca resta un equilibrio solido tra prezzo d’acquisto, consumi e manutenzione.