“Buonasera, lo sa perchè è stato fermato?”: a questa domanda c’è solo una risposta corretta | L’ha rivelato il grande avvocato

La domanda al posto di blocco - mobilitasostenibile.it
Dietro alla domanda a trabocchetto delle forze dell’ordine, gli avvocati ci spiegano qual è la risposta migliore (e la peggiore) da dare.
Le parole hanno un peso, e questo vale anche durante un posto di blocco. Sebbene le forze dell’ordine non siano mentalisti, basta una frase detta nel momento sbagliato per mandare in panico anche il conducente più scaltro, indipendentemente dal fatto che sia in buona fede o meno.
Ed è qui che una domanda apparentemente comune può trasformarsi in una vera e propria trappola a danno dell’automobilista.
Il fatto è che entrano in gioco meccanismi psicologici davvero sottili, ma che è bene conoscere per non farsi prendere dall’ansia del controllo. A ricordarci come rispondere senza mettersi in posizioni scomode sono gli stessi avvocati che, di questi trabocchetti, ne vedono ogni giorno.
Il posto di blocco visto dagli occhi dell’automobilista
Quando ci fermano a un posto di blocco, anche il più ligio degli automobilisti inizia a tremare. È una reazione psicologica universale: possiamo aver rispettato ogni regola, avere la patente in ordine e i documenti perfetti, eppure il solo vedere la divisa ci mette addosso un senso di soggezione. È un meccanismo che nasce dal cosiddetto timore reverenziale verso l’autorità, una specie di soggezione atavica che ci accompagna fin da bambini.
Basta poco per farci balenare dubbi assurdi: “avrò dimenticato di fare la revisione? Starò guidando a velocità giusta? Ho rinnovato l’assicurazione?”. Insomma, anche chi si sente a posto al 100% può andare in ansia davanti alla paletta che ordina l’alt. In quei momenti, la mente può giocare brutti scherzi e portarci a dire cose inopportune senza rendercene conto.

La domanda a trabocchetto: come rispondere
La vera trappola scatta quando l’agente pronuncia la classica frase: “Sa perché l’abbiamo fermata?”. Ecco, qui bisogna stare attenti. La tentazione di rispondere “sì” — magari per fare bella figura o per mostrarsi collaborativi — è forte, ma rischiosa. Dichiarare di sapere il motivo potrebbe trasformarsi in una sorta di ammissione implicita di colpa, anche se non abbiamo fatto nulla. Così come autofdenunciarsi di aver preso il telefono in mano (che magari non è stato nemmeno notato dalle Forze dell’Ordine).
Secondo diversi avvocati, la risposta migliore è mantenersi neutri. Un semplice “no” o un educato “non lo so” bastano a non compromettere la nostra posizione, senza sembrare reticenti né troppo accondiscendenti. In alternativa si può dire “preferisco non pronunciarmi”, frase perfettamente lecita che tutela il nostro diritto a non autoincriminarci.
Perché alla fine, anche durante un controllo di routine, ogni parola conta. Meglio evitare di complicarsi la vita, ricordando che collaborare sì, ma senza confessare colpe che magari nemmeno esistono, è sempre la scelta più saggia.