Disastro Fiat, ufficiale la chiusura della storica fabbrica: centinaia di dipendenti lasciati per strada | Non c’è stato niente da fare

Fabbrica Fiat

Fabbrica Fiat - mobilitasostenibile.it

Fiat annuncia la chiusura dovuta a un calo della richiesta e alla difficoltà di stare dietro alle nuove normative ecologiche.

Negli ultimi anni Fiat si è ritrovata a fare i conti con una crisi che non riguarda soltanto i numeri di mercato, ma tocca la sua stessa identità. Una storia lunghissima, simbolo dell’Italia industriale, che oggi appare schiacciata tra un futuro ancora incerto e un passato che non ritorna. Il colpo più duro è arrivato dal tramonto dei motori diesel, un tempo fiore all’occhiello, diventati progressivamente insostenibili per costi e normative.

A questo si è sommato un ritardo pesante nella corsa verso l’elettrico, proprio mentre la domanda di citycar – da sempre la roccaforte Fiat – si sgonfiava sotto la spinta di regole più severe, margini sempre più bassi e una concorrenza spietata.

Così sono arrivate le chiusure, la cassa integrazione, i trasferimenti di produzioni storiche all’estero, lasciando interi stabilimenti senza prospettive e migliaia di famiglie nell’incertezza. Ora qualcosa si sta muovendo, insieme a una chiusura che sta facendo preoccupare l’intero ecosistema dell’automotive.

Fiat e la perdita di indipendenza

Fiat ha resistito per moltissimi anni, ma nel tempo ha dovuto cambiare forma, nonostante abbia tenuto a denti stretti la sua identità italiana che la contraddistingue. Oggi fa parte di Stellantis, un colosso nato nel 2021 dalla fusione tra FCA e il gruppo francese PSA. Un gigante dell’auto con 14 marchi sotto lo stesso tetto, quartier generale ad Amsterdam e una strategia che punta a concentrare la produzione su piattaforme condivise, tagliare costi e accelerare sull’elettrico.

Stellantis, dal canto suo, ha portato risorse e tecnologie, ma anche scelte drastiche: modelli trasferiti all’estero, stabilimenti ridimensionati, marchi storici messi in secondo piano.

Fiat resta sulla carta un simbolo, ma il controllo reale delle strategie ora è nelle mani della nuova governance internazionale, pronta a investire dove conviene, senza troppi legami con la tradizione. Una rivoluzione industriale, nel bene e nel male, che ha cambiato per sempre la sua traiettoria. E con essa, l’obbligo di abbandonare le fabbriche. L’ultimo caso ne è l’esempio lampante.

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Chiusura Fiat – mobilitasostenibile.it

Addio alla storica fabbrica Fiat

Cambiare traiettoria significa, a volte, saper rinunciare. È quello che è successo a Stellantis nei mesi scorsi, con la decisione di spegnere per sempre la storica fabbrica di Bielsko-Biała, in Polonia. Lì, dove un tempo nasceva la Fiat 126 e più tardi i motori 1.3 Multijet, resteranno solo capannoni vuoti e ricordi di un’epoca industriale incentrata sui motori diesel e che ha fatto crescere un intero territorio.

Quasi 500 operai hanno ricevuto la lettera di licenziamento: qualcuno potrà forse spostarsi in altri stabilimenti Stellantis, altri dovranno ripartire da zero. La fine del diesel, le nuove regole sulle emissioni e una domanda sempre più debole hanno reso inevitabile questa scelta, segnata da proteste e trattative sindacali ancora aperte sulle indennità di uscita.

Mentre Stellantis investe sulle piattaforme ibride ed elettriche a Tychy, la chiusura di Bielsko-Biała lascia dietro di sé un vuoto pesante, umano prima ancora che industriale. D’altronde le scelte aziendali servono proprio per mandare avanti un motore ormai mondiale. Eppure, dietro quel diesel che inquina l’ambiente, ci lavoravano diverse persone.