Le conseguenze della guerra sulla transizione verso le auto elettriche

“Il settore automotive sta attraversando un periodo di forte cambiamento, influenzato dalla nuova propensione green dei consumatori e dalla sempre maggiore attenzione verso la mobilità elettrica ed ibrida. La spinta alla transizione verso veicoli più sostenibili ha però accentuato la crisi del settore. Da un lato le legittime aspettative dei consumatori e le nuove normative delle istituzioni pubbliche, dall’altra tutte le difficoltà dell’industria, che si è trovata nel mezzo di una pandemia globale con interruzioni intermittenti delle supply chain, delle attività produttive, oltre che una crisi dei semiconduttori internazionale che ha ulteriormente compromesso la capacità produttiva di tutti i player.” Ha dichiarato Giorgio Barbieri, Senior Partner di Deloitte e North & South Europe Automotive Leader, analizzando lo scenario dell’industria automotive.

Inoltre, in questa fase, il contesto è stato ulteriormente aggravato dalla situazione geopolitica internazionale, che sta già avendo importanti conseguenze sulla finanza globale e su tutti i costi dell’Industry. “Il quadro globale ha ulteriormente complicato una crisi molto grave del settore impattando ancor di più costi delle materie prime, disruptions della supply chain e dei vari comparti produttivi. Le prospettive future restano pertanto incerte. Altro tema da tenere sotto controllo è quello delle materie prime critiche necessarie per la transizione ecologica. Non si può escludere che il nuovo assetto geopolitico ridisegnato da questa crisi abbia conseguenze anche su questo fronte, considerata la forte dipendenza dell’industria europea da alluminio, palladio e neon provenienti da Russia e Ucraina e che costituiscono elementi essenziali per la produzione di microchip e semiconduttori per auto di ultima generazione ed elettriche. Questi aspetti potenzialmente possono diminuire la capacità dell’industria di poter soddisfare la domanda e le necessità del mercato dell’auto elettrica e di conseguenza rallenteranno la transizione” afferma Barbieri.

L’obiettivo della Commissione Europea di arrivare a 30 milioni di veicoli a zero-emissioni in circolazione entro il 2030 appare dunque a rischio nonostante il “Chips Act”, il provvedimento annunciato poche settimane fa, che prevede 15 miliardi di investimenti pubblici e privati entro il 2030 che si aggiungono agli oltre 30 miliardi già stanziati dall’UE. “Dal punto di vista delle istituzioni europee, la strategia di lungo periodo è incentrata sull’auto elettrica come chiave di volta per centrare il target di 30 milioni di veicoli a zero-emissioni in circolazione entro il 2030[1]. Per i regolatori non è dunque più una questione di “quando” bensì di “come” raggiungere questi obiettivi che però furono delineati ben prima dell’attuale guerra e di tutte le conseguenze di lungo termine dovute alla pandemia. Sarà importante quindi che le istituzioni mantengano un approccio volto a promuovere tutte le tecnologie “green” focalizzando il framework legislativo sugli obiettivi di performance ambientale anziché su una specifica tecnologia. Altrettanto importante sarà il supporto economico che l’Europa metterà in campo per le imprese. In estrema sintesi, l’Europa dovrà garantire l’accesso alle materie prime essenziali, supportare gli investimenti e la produzione delle celle-batterie dei fornitori europei, potenziare i programmi di ricerca e innovazione, assicurare la disponibilità di competenze, know-how e professionalità lungo tutta la value-chain, promuovere una produzione sostenibile delle celle-batterie, facilitare le sinergie e la coerenza con il più generale framework legislativo” specifica Barbieri.

Il 2030 può sembrare un orizzonte lontano ma le attuali condizioni del mercato, insieme alla complessità del cambiamento tecnologico richiesto, lo rendono un limite temporale molto più vicino di quanto non sembri. “La strada futura verso la mobilità elettrica è ormai tracciata e l’industria italiana deve dimostrarsi all’altezza di questa sfida epocale, puntando sulla capacità del nostro tessuto imprenditoriale (PMI) di fare squadra, sui talenti e sulle competenze, sulle logiche di sistema e sulle sinergie. Per quanto riguarda gli impianti produttivi nel nostro Paese, la partita decisiva è quella dell’innovazione tecnologica: solo con una crescita sotto questo profilo gli impianti italiani possono guadagnare competitività e mantenere un ruolo nello scenario globale. Occorrerà investire velocemente nelle attività R&D e nella riconversione dei modelli di business per consolidare una posizione distintiva all’interno della filiera dell’elettrico, nonché nell’acquisizione e nella formazione dei talenti e dei profili specialistici in questo ambito. Un altro aspetto strategico riguarderà poi la capacità di collaborazione fra attori privati e istituzioni pubbliche nel delineare una “politica nazionale dell’auto” orientata a sfruttare sinergie, fare leva su un patrimonio di conoscenze ingegneristiche avanzate per applicarle ai nuovi scenari di mercato, creare distretti e poli di eccellenza, applicare logiche di “open innovation” volte a valorizzare anche il Made in Italy. La sfida consisterà dunque nel conciliare le diverse prospettive degli attori pubblici e privati, cercando un equilibrio in grado di soddisfare gli interessi di tutti gli stakeholder del settore automotive” conclude Barbieri.